L'incidente stradale al microscopio Microteam Internet Service Provider  
Risarcimento del danno  
  • Si tratta, in vero, di una materia talmente vasta e complessa che non basterebbe una grande biblioteca, sia pure elettronica, per comprenderla tutta. Per i non addetti ai lavori è qui sufficiente precisare che il risarcimento del danno può conseguire ad “obbligazioni” che sono dalla legge poste a carico del responsabile, sia in sede “contrattuale” – per esempio nel caso taluno non rispetti gli obblighi nascenti dalla stipula di un accordo (contratto) – sia in sede “extracontrattuale” – come nel caso del responsabile di un sinistro stradale o di qualsiasi altro fatto illecito, civile o penale, previsto dalla legge. - Il risarcimento del danno, pertanto, sfugge a “catalogazioni” più o meno estese. Tanto meno è possibile delineare, per esso, delle “tabellazioni”, come pure, sotto la spinta possente delle Compagnie Assicuratrici, alcuni governi hanno cercato di fare – e continuano tuttora a cercare di fare -, incoraggiati, in ciò, anche da parte della magistratura di merito. - Lo Studio Legale Giunta, avendo acquisito nella materia una vasta esperienza professionale, si batte, da sempre, per la massima tutela risarcitoria in favore di chiunque si trovi nella situazione soggettiva di pretendere il risarcimento di un danno, sia esso alle cose, sia esso alla persona, sia alla violazione dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti.

  • Mentre si rimanda ad altra pagina (Valutazione del danno) per un ulteriore approfondimento, si darà, qui, qualche cenno al risarcimento del danno alla persona.
    Nell’ambito del danno alla persona, il dibattito di studiosi e giuristi dura da almeno un secolo, avendo questo argomento acquistato un significato con l’era postindustriale e con il moltiplicarsi di occasioni di infortuni, malattie professionali, incidenti, pervenendo all’apice con la diffusione di massa degli autoveicoli. Si cominciò, inizialmente, ad individuare, quale prima forma di risarcimento di danno alla persona, il cosiddetto “danno patrimoniale”, e cioè quel danno che, procurando ad una persona una diminuzione – temporanea o permanente – della sua capacità di produrre reddito, deve essere commisurato alla entità della diminuzione del reddito della vittima. Questo sistema è stato il primo ad affrontare la tematica del danno ed era capace di creare delle enormi sperequazioni risarcitorie da persona a persona, poiché, come appare evidente, a parità di lesioni personali (es: perdita di un arto) non corrispondeva una pari valutazione del danno, essendo quest’ultima strettamente correlata al reddito della vittima. In tal modo, un semplice manovale, con un reddito di lire 10 annue, pur avendo riportato la medesima lesione di un funzionario con un reddito di lire 100 annue, percepiva un risarcimento dieci volte inferiore al secondo. Si cercò di porre un parziale rimedio a tale situazione con la introduzione del diritto al risarcimento del cosiddetto “danno morale”, il quale, in buona sostanza, viene individuato nelle “sofferenze”, fisiche o psichiche, patite dal danneggiato in seguito alle lesioni personali subite.
    Il danno morale, tuttavia, ancorchè sacrosanto, non poteva – e non ha potuto – colmare il divario che inevitabilmente si creava in sede di risarcimento di danno patrimoniale. E ciò sia perché la legge condizionava il riconoscimento del danno morale alla sussistenza degli estremi del reato nella condotta del responsabile del fatto (quindi se il fatto non era previsto, seppure in via solamente teorica, come reato dalla legge penale, non occasionava il diritto al risarcimento del danno morale), sia perché il danno morale è, per definizione, un danno comunque “transeunte”, e cioè di durata non illimitata ma contenuta nel tempo. Il danno morale, in altre parole, quando viene riconosciuto, viene comunque limitato alla durata del periodo dello stato di malattia e, quanto alla cosiddetta “invalidità permanente” viene riconosciuto in forma “una tantum”. Forse, allora, qualcuno si meraviglierà nell’apprendere che la vera “rivoluzione” nella materia del risarcimento del danno alla persona si è verificata appena ieri, ed è tuttora in fase di convulsa evoluzione. Risale, infatti, appena ai primi anni settanta dello scorso secolo la concettualizzazione del cosiddetto “danno biologico”, detto anche danno alla salute.
    Si tratta di un concetto che, nel più totale disinteresse del potere legislativo, si è prodotto unicamente in sede giurisprudenziale, ponendo l’Italia ai primi posti al mondo nella materia del risarcimento del danno alla persona.
    Ciò significa che il merito di tale evoluzione concettuale spetta unicamente all’impegno degli Avvocati e dei Magistrati che hanno elaborato l’istituto giuridico del danno biologico, il quale è stato finalmente inteso come quel danno che, indipendentemente da ogni sua ripercussione sulla capacità lavorativa e reddituale della vittima, modifica in senso menomativo la preesistente situazione psico-fisica di quest’ultima.
    Il concetto di danno biologico è nato presso il Tribunale di Genova, ai cui giuristi (Avvocati e Magistrati), in vero, nessuno si è preso la briga di rendere il dovuto omaggio, ed è stato consacrato, ma solo nell’anno 1986 dalla Corte Costituzionale. Oggi è cosa pacifica, avanti a qualsiasi Corte, che il danno biologico è il tipo di risarcimento irrinunciabile e prioritario che devesi riconoscere in favore del leso: ed è altrettanto pacifico che, a parità di grado di menomazione, deve corrispondere – indipendentemente dal reddito prodotto – una parità di risarcimento. Così, cinque punti di invalidità permanente di un disoccupato valgono – sotto l’aspetto del danno biologico – esattamente quanto valgono cinque punti di invalidità permanente di un grande industriale di pari età.
    Dall’iniziale concetto di danno biologico, nell’ambito d quale si distingue un aspetto “dinamico” da un aspetto “statico” (ma qui entriamo troppo nella sottilizzazione tecnica, sicuramente noiosa per il paziente visitatore) si è passati, gradualmente, ad un concetto più articolato, facendo rientrare in esso concetti precedenti o successivi, come quelli di “danno alla capacità lavorativa generica” (da non confondere col danno alla capacità lavorativa specifica, corrispondente al vecchio “danno patrimoniale” e tuttora coesistente nell’ordinamento), di “danno alla vita di relazione”, di “danno estetico”, di “danno alla vita sessuale” ed altri. In tal modo, l’istituto del danno biologico, se posto nelle mani di buoni giuristi, si rivela un formidabile strumento di perequazione e di adattamento del risarcimento del danno alla persona a seconda della fattispecie concreta esaminata. Ultimamente, la Dottrina e la Giurisprudenza più avanzate, hanno persino “superato” il concetto di danno biologico, introducendo un nuovissimo istituto risarcitorio: quello del “danno esistenziale”.
    Non che il danno biologico sia stato accantonato, chè, al contrario, esso è ancora in piena fase evolutiva. Ma il “danno esistenziale” si spinge laddove nessuno avrebbe osato spingersi sino a qualche anno fa, poiché esso prescinde dalla sussistenza di una lesione personale – nel senso di malattia o altra lesione psico fisica della persona – e riconosce un risarcimento all’individuo che, a cagione del comportamento altrui – abbia a subire una inquietudine, un disturbo della sua quiete o della normale esistenza di vita in tutte le possibili forme in cui questa può esplicarsi, compatibilmente con il sistema di vita sociale proprio dell’uomo. Cosicchè, se un vostro vicino non vi fa dormire in pace, avrete diritto al risarcimento del vostro danno “esistenziale”, essendo stata in qualche modo disturbata illegittimamente la vostra integrità esistenziale.
    Lo Studio Legale Giunta, ha approfondito in maniera specifica la materia della individuazione e della valutazione del danno.
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